“Lasciala all’aria aperta: la ferita, per guarire, deve respirare!”
Quante volte ci è stato dato questo consiglio? I classici rimedi della nonna, non sempre corrispondono a verità: infatti le ferite guariscono meglio e più velocemente quando…rimangono umide!
Strano vero? Eppure a pensarci bene, non può esserci vita senza acqua: il Rover sulla superficie di Marte sta cercando acqua, il feto è immerso nell’acqua placentare e…come avete ritrovato la pianta che vi hanno regalato poco prima di partire per le vacanze estive e che avete dimenticato di innaffiare?
La stessa cosa accade per le ferite: l’aria favorisce la formazione di croste secche che impediscono la guarigione causando la formazione di lesioni sempre più profonde, con un rischio sempre più elevato di infezioni e di cicatrici non solo non belle da vedere ma, spesso, anche talmente fastidiose da impedire i normali movimenti articolari.
Anche l’utilizzo di creme o polveri che determinano l’essiccazione, sono da bandire da tutte le case!
Ma allora? Come facciamo a far guarire una ferita?
Utilizziamo medicazioni e dispositivi che favoriscono l’ambiente umido, non sicuramente macerato.
Ora sì che il vecchio adagio “la giusta via è nel mezzo” ha più che un senso…
In Vulnologia vengono utilizzate medicazioni che, pur proteggendola dai contaminanti esterni, favoriscono il giusto gradiente di umidità, facendo ‘respirare’ la ferita attraverso lo scambio gassoso dall’interno verso l’esterno (e non il contrario!), assorbendo l’eccesso di essudato che potrebbe provocare macerazione (e quindi un’alta probabilità che si vada incontro ad una infezione) e dando la possibilità all’organismo di lavorare ‘secondo natura’.
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